
Articolo apparso su Eco di Biella alla rubrica “LOCALE – NATURALE – STAGIONALE”
lunedi 15 dicembre 2025
Come mercato contadino e in solidarietà con la resistenza dei contadini palestinesi abbiamo voluto dedicare questo spazio alle loro storie e all’iniziativa promossa da Doha, contadina di Burin (Nablus) che lo scorso anno era venuta a Biella, grazie a Cittadellarte, dove aveva potuto raccontare la sua storia.
Burin è un piccolo villaggio contadino alle porte di Nablus, abitato da 3000 persone. In questa zona gli ulivi sono sempre stati la coltivazione più diffusa, ma tutti producono il necessario per il fabbisogno famigliare: piccolo allevamento, verdure, frutta, spezie.
Betlemme non è lontana, e il villaggio potrebbe sembrare quello di Gesù bambino. Il cibo consumato, molto probabilmente, è lo stesso di allora.
Lo za’atar che è arrivato a Biella viene proprio da lì, da un’iniziativa di Doha, fiera contadina palestinese, che ha saputo tessere una rete internazionale di persone che le vogliono bene, per resistere all’occupazione e al blocco di tutte le attività economiche e commerciali, continuando a coltivare con determinazione la propria terra e condividendone i frutti.
Il nome za’atar indica sia un timo locale molto profumato, sia la preparazione di cui è ingrediente principale, ovvero una miscela di timo, sesamo e sommacco, preparato con amore da Doha e da altre contadine di 2 villaggi vicini. I tre i villaggi sono circondati da colonie illegali israeliane, insediatesi sulle cime delle colline, da cui i coloni aggrediscono i contadini mentre lavorano i campi.
Il timo, tradizionalmente raccolto selvatico, è ora piantato ai margini degli uliveti più vicini a casa, meno esposti alle incursioni dei coloni, dove Doha e le altre se ne prendono cura senza alcun trattamento. Raccolgono le foglie di timo e le essiccano. Una volta essiccate, le macinano utilizzando una grande pietra dalla superficie liscia e aggiungono il sesamo e il sommacco, arbusto dal frutto rosso che conferisce la caratteristica nota acidula di questa miscela tipica della zona di Nablus.
Il prodotto che più rappresenta la Palestina è però l’olio d’oliva, proveniente da ulivi coltivati su terrazzamenti che disegnano da secoli questi paesaggi. Gli ulivi costituiscono la fierezza dei contadini ma al tempo stesso uno dei loro più grandi drammi: sono sempre più spesso bruciati, sradicati e tagliati dai coloni con incursioni quotidiane nei campi e nei villaggi, rubando i raccolti, bruciando auto, aggredendo persone e sequestrando ragazzi.
Per questo la somma versata da chi ha contribuito ad acquistare lo za’atar che è arrivato a Biella comprende anche olio d’oliva, bene sempre più raro, che non è stato importato ma verrà consegnato ad altre famiglie palestinesi costrette ad abbandonare le loro case a Tulkarem e Jenin.
Come figlia di agricoltori, che ha lavorato per 8 anni con agricoltori della costa sud del Mediterraneo come Doha, so cosa significa coltivare e amare la terra, e non vedo differenze tra un contadino italiano e uno palestinese, o di qualsiasi altro paese. Ognuno di loro produce vita e bellezza quando lo fa per vocazione. Sa come mantenere la terra fertile e nutrire la propria comunità.
Per questo penso che proteggere un contadino, e ancor di più una contadina, significa proteggere la Terra e quindi me stessa e noi tutti.
E nella particolare situazione dei Palestinesi sotto occupazione militare e vittime di coloni che tentano con ogni mezzo di cacciarli dalle loro terre nella totale impunità, penso che nessuno è libero fino a quando non lo saremo tutti.
Nazarena Lanza

