Newsletter dal 24 al 31 dicembre 2025

Mentre una parte del mondo si prepara a celebrare il Natale, tra luci intermittenti, tavole imbandite e parole consumate come pace, famiglia, speranza, a Gaza è arrivato un altro inverno di disperazione. Un’altra stagione di annientamento. Non simbolico. Concreto. Fatto di freddo, fame, macerie, assenza di cure e di protezione.
La cosiddetta “tregua” non ha fermato nulla: ha solo abbassato il volume, distratto le coscienze, reso l’orrore più presentabile, più gestibile sul piano politico e mediatico. La tregua, oggi, assomiglia più a un maquillage che a una reale sospensione della violenza. I fatti, anche quando la stampa li edulcora, restano ostinati: nella Striscia si continua a morire sotto le bombe, per mancanza di assistenza, per il freddo e la malnutrizione.
E in Cisgiordania la situazione non è migliore. Anzi, peggiora di giorno in giorno. L’offensiva procede senza soluzione di continuità: distruzioni e demolizioni di abitazioni e condomini, incursioni, arresti arbitrari, evacuazioni forzate, violenze dei coloni, esecuzioni extragiudiziali.
Il 22 dicembre scorso un ragazzo palestinese di soli 16 anni è stato ucciso. Si chiamava Rayan Abu Mualla. È stato colpito a morte dai militari durante un raid a Qabatiya, a sud di Jenin. Un video mostra il momento in cui i soldati aprono il fuoco. L’IDF parla di legittima difesa: il ragazzo avrebbe lanciato un mattone.
Un mattone. Così un altro nome rischia di perdersi nel rumore di fondo.
Nello stesso giorno, il governo israeliano approvava 19 nuovi insediamenti nei Territori Occupati: un atto politico che consolida l’annessione e rende sempre più irreversibile la frammentazione della Palestina. Smotrich, che questo piano di spoliazione e annientamento coltiva da decenni, lo ha definito apertamente un’ulteriore lastra tombale sulla nascita di uno Stato palestinese.
Che Israele lavori da quasi ottant’anni per impedirne la nascita è il segreto di Pulcinella più tragico e irritante che circoli nel dibattito pubblico.
Un segreto che molti commentatori fingono di non vedere, per convenienza, superficialità o semplice distanza reale dai luoghi di cui parlano.
Alla Knesset è inoltre in discussione un provvedimento che restringe ulteriormente l’ingresso degli operatori umanitari: meno testimoni, meno aiuti, meno assistenza. Più impunità. Più morti.
Anche così si governa una catastrofe.
In questo contesto si colloca la recente visita del Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, che ha richiamato l’attenzione sulla condizione delle comunità cristiane di Terra Santa, sempre più stremate e isolate.
Una presenza importante, che tuttavia mette in evidenza un limite vistoso: i richiami morali, da soli, non bastano più se non sono accompagnati da scelte politiche chiare e coerenti.
E allora la domanda resta, inevitabile e scomoda:
come si fa a festeggiare il Natale, costruire presepi, accendere alberi, quando a Gaza come in Cisgiordania – Betlemme inclusa, la città dove il presepe ha preso vita – si vive assediati e si muore nell’indifferenza?
Il Natale cade il 25 dicembre non per una data storica certa, ma per una scelta prima politica e poi teologica, maturata nel IV secolo durante il processo di istituzionalizzazione del cristianesimo imperiale. Il Concilio di Nicea del 325, convocato da Costantino, servì a costruire un’unità di fede funzionale all’unità dell’Impero. Poco dopo, le festività pagane del solstizio d’inverno furono assorbite e neutralizzate: la nascita del Sole sostituita con quella di Cristo.
Ricordarlo oggi non è erudizione.
È smascherare il cortocircuito di un mondo cristiano che celebra la nascita mentre tollera la distruzione, invoca la pace mentre giustifica l’occupazione, si commuove per i simboli ma resta muto davanti ai morti.
Betlemme è assediata.
Gaza è devastata.
E il Natale occidentale continua, come se nulla di tutto questo lo riguardasse, nel consumismo compulsivo.
Sul fronte delle Local March for Gaza, in questi giorni non si segnalano nuovi appuntamenti. Ma il cammino non si misura solo in date: si misura nella capacità di non arretrare, di non normalizzare, di continuare a incrinare la narrazione dominante.
Arriviamo a questo Natale con poco da festeggiare e molto da custodire: lucidità, memoria, responsabilità delle parole.
Gli auguri che possiamo scambiarci restano sobri:
che questo Natale non sia un anestetico, ma un punto di attrito.
Che la luce non serva ad accecare, ma a vedere meglio ciò che viene sistematicamente rimosso.
Perché anche quest’anno il Natale è ai piedi nudi davanti a un muro, nel freddo, fra le macerie fisiche e morali dell’ipocrisia del mondo.
Continuiamo a camminare.
In ogni senso e in ogni modo. Soprattutto quando fa più buio.
Buon Natale da tutti noi
CONTATTI: adesioni@localmarchforgaza.it
Indicazioni per organizzare una Local March for Gaza : https://www.localmarchforgaza.it/vademecum-per-aderire/
Per caricare una nuova Local March for Gaza sul calendario del sito invia un breve testo descrittivo, il programma con le tappe e un’immagine orizzontale a adesioni@localmarchforgaza.it

