Una delle peculiarità delle Local March for Gaza è quella di avere proposto delle modalità diverse di manifestare il proprio dissenso.
Intanto il camminare sui sentieri permette dei tempi e delle modalità di comunicazione a piccoli gruppi che crea dialoghi in cui tutti intervengono.
Il silenzio della montagna o della campagna permette l’ascolto dell’altro, senza che venga coperto dal frastuono degli altoparlanti dei camion delle organizzazioni presenti nei cortei urbani.
Anche il passaggio nei paesi ha evidenziato forme di comunicazione silenziose, con qualche slogan “Palestina libera”, ma in cui sono prevalse le letture della petizione, brevi discorsi, letture di poesie o brani di testi.
Certo portiamo con noi un megafono, ma usato con attenzione da chi conduce i gruppi.
Quando si manifesta in città, invece, le modalità di solito sono diverse. Ci si deve far notare, bisogna fare rumore. E’ un approccio differente che può dare fastidio ma, in città, serve.
Luca Giannotti – Local March for Gaza – Cammino dei Briganti (Abruzzo) ha commentato così l’ingresso in Avezzano:
“Avrei voluto passare in Avezzano in completo silenzio, come si fa con le meditazioni camminate. Il silenzio è molto più assordante, interiormente. E le parole, vanno usate con cura e con rispetto. Gridare Palestina libera non libera la Palestina, ma ottiene un effetto controproducente su chi osserva. Camminare in silenzio ci riporta all’energia interiore necessaria per trasformare in fatti la nostra lotta. Dobbiamo imparare il linguaggio della pace e della nonviolenza. Dico questo perché anche altri erano infastiditi, e in qualche modo non ci siamo sentiti rispettati e tutelati nella nostra sensibilità da parte del gruppo. Per il resto, della marcia mi è piaciuto tutto e sono orgoglioso di esserne stato padre”.
Sono modalità diverse, possono essere valide entrambe.
Nazarena Lanza – Local March for Gaza – Cammino di Oropa (Piemonte) risponde così a Luca:
“Partecipo quasi tutti i venerdì a presidi per “rompere il silenzio” sul genocidio in Palestina, con pentole e strumenti rumorosi di ogni genere. È assordante, ma almeno la gente si affaccia alle finestre e ci vede, a volte scende e a volte saluta, il messaggio è chiaro: non possiamo restare in silenzio di fronte a un genocidio in diretta. Anch’io vorrei commemorare in silenzio i morti, ma questo sarà possibile quando Israele sarà fermato non sarà più un tabù parlare di Palestina.
Ho apprezzato molto l’intervento del vescovo, che urlando dal palco (anche lui!) ha associato la rinascita palestinese e di tutti i popoli subalterni con quella delle aree interne”.
D’altra parte anche nella rumorosissima Milano, da metà giugno, un gruppo di cittadini fa un presidio disponendosi a un metro l’uno dall’altro, con i cartelli appesi al collo e … in silenzio.
E’ una modalità che crea attenzione e empatia, come spiega il mio amico Andrea che, insieme a una quindicina di sodali, ha inziato questa azione di dissenso: “Il sole, il caldo, il reggere cartelli e bandiere, fermi, in piedi, trasmette rispetto per il nostro agire.”
Insomma va bene tutto, basta che funzioni, che si condivida il rifiuto dell’accettazione del genocidio che lo si faccia in silenzio, fermi sotto il sole, o urlando slogan, suonando coperchi e pentole e sventolando bandiere.
Non vogliamo essere complici e vogliamo che cessi il massacro. Questo vale per tutti.