Newsletter dal 24 novembre al 1 dicembre 2025
Negli ultimi giorni, mentre la strage a Gaza continua senza interruzioni e i bombardamenti si estendono fino al Libano, la comunità internazionale sembra essersi voltata dall’altra parte.
La Risoluzione 2803 votata dall’ONU lo scorso 17 novembre, è stata celebrata come un accordo storico, eppure sul terreno nulla è cambiato: aerei, artiglieria e cecchini israeliani continuano a colpire la Striscia, mentre in Cisgiordania decine di villaggi subiscono attacchi, saccheggi e violenze quotidiane e i palestinesi continuano ad essere uccisi. Malgrado l’evidenza urli il contrario, i media stemperano la realtà come se tutto fosse già risolto. Invece l’occupazione prosegue nella solita, consolidata impunità.
La Risoluzione 2803 (2025), approvata dal Consiglio di Sicurezza con 13 voti favorevoli e le sole astensioni di Russia e Cina, istituisce – tra le altre cose – una International Stabilization Force (ISF) con il mandato di “garantire la sicurezza” nella Striscia e gestire la fase transitoria dopo l’offensiva israeliana del 2023–2025, che ha raso al suolo Gaza e ucciso quasi 70.000 palestinesi, ferendone oltre 170.000. Inoltre, crea un Board of Peace presieduto da Donald Trump, un organismo civile incaricato di coordinare ricostruzione, governance e assistenza umanitaria, affiancando le autorità palestinesi ma sotto supervisione di attori internazionali.
Al bivio tra promessa e ambiguità, una domanda s’impone: quale logica governa davvero la 2803?
A ben guardare, il testo porta con sé l’eco di una decisione lontana, presa sempre in un piovoso novembre di settantotto anni fa: la Risoluzione 181 del 1947. Un’ombra lunga che oggi ritorna con la forza di un sigillo. La 181 aveva partorito l’idea di due Stati; la 2803 genera uno Stato sospeso. Dalla partizione (1947) all’occupazione (dal 1967), al blocco (dal 2007), oggi Gaza è passata alla tutela internazionale: non viene liberata, viene commissariata. La 181 imponeva una mappa; la 2803 impone una governance. In entrambi i casi, i palestinesi restano oggetto geopolitico in ostaggio più che soggetto politico indipendente.
Già amputata da diciotto anni di assedio, ora Gaza entra in una fase nuova: sorvegliata e plasmata da potenze esterne, sarà guidata da un deus ex machina chiamato Donald Trump: un precedente che non ha equivalenti nella storia dell’ONU e che apre interrogativi profondi sulle forze che hanno reso possibile questo impianto iniquo e mostruoso.
Se l’obiettivo reale è impedire la nascita di uno Stato palestinese pienamente sovrano, il meccanismo appare perfetto: uno Stato in potenza ma non in atto, un’autonomia commissariata a stabilità condizionata. La storia però insegna che simili modelli, se privi di limiti chiari, diventano permanenti. La 2803, presentata come un gesto di responsabilità globale, inaugura in realtà un paradigma inedito, sofisticato, mediaticamente rassicurante, che anestetizza l’opinione pubblica mentre trasforma Gaza nella prima amministrazione fiduciaria del XXI secolo.
La parola chiave, nascosta nel testo, è una sola: sorveglianza, venduta come transizione quando in realtà è disegnata come permanenza. E ancora una volta tutto accade sulla pelle dei palestinesi, ignorando le loro richieste, negando loro per l’ennesima volta il diritto a decidere del proprio futuro.
(L’articolo completo a questo link: https://alessandramaffilippi.substack.com/p/passa-la-risoluzione-2803-gaza-la
Perché è cruciale per noi delle Local March for Gaza quello che è accaduto all’ONU?
Perché la 2803 non è solo un accordo di pace apparente: legittima la subordinazione di Gaza a interessi esterni e sancisce l’erosione del ruolo dell’ONU come organismo credibile e super partes. La Striscia diventa un laboratorio di nuovi modelli di oppressione, sorveglianza e gestione fiduciaria di interi popoli.
Inoltre, il testo della 2803 non menziona mai la Cisgiordania. Questa omissione non è neutra: legittima di fatto l’annessione in corso, normalizza le violenze dei coloni, consolida l’espulsione forzata delle comunità palestinesi e cancella il cuore geografico, storico e politico della Palestina. Silenziare la Cisgiordania significa accettare che venga smembrata e poi incorporata, mentre l’attenzione del mondo viene distratta da Gaza.
E mentre questo nuovo modello di espropriazione prende forma in Medio Oriente, segnali inquietanti emergono anche sul nostro Paese. Nel Biellese, un progetto agrivoltaico finanziato confondi israeliani, approvato a discapito delle comunità locali, mostra come logiche di profitto e occupazione dello spazio possano replicarsi ovunque, svuotando il senso di appartenenza e di autodeterminazione delle persone. Ne ha scritto Ettore, uno dei promotori delle nostre marce, in un articolo che merita di essere letto e condiviso (https://www.pressenza.com/it/2025/11/il-sole-insanguinato-del-biellese/).
Inoltre, con la complicità della comunità internazionale, Israele sperimenta la deportazione parziale della popolazione con voli dal Negev, cercando di svuotare ulteriormente Gaza e rendere concreta la gestione fiduciaria prevista dalla risoluzione. Questo modello non è solo un pericolo per i palestinesi: se passa a Gaza, può diventare un precedente globale, un campione per la gestione autoritaria di interi popoli.
Ed è proprio per questo che il nostro cammino non può fermarsi.
Di fronte a un mondo che distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica dai fatti che si materializzano sul terreno giorno dopo giorno, noi abbiamo un compito semplice ma decisivo: continuare a camminare, insieme. È il gesto più umile e più potente che abbiamo per spezzare il silenzio e tenere viva la verità. La rotta verso Gerusalemme apre orizzonti nuovi, abbraccia il Mediterraneo e ci invita a confrontarci con i conflitti che bruciano, portando la memoria e la speranza in cammino.
Per questo non basta osservare: dobbiamo esserci. Il 28 novembre è stato proclamato uno sciopero generale, e il 29 novembre — Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese — ci sarà una grande manifestazione nazionale. È fondamentale scendere in piazza, farci vedere, farci sentire, far capire che la coscienza non è stata anestetizzata. Abbiamo bisogno di tutti, ma proprio tutti: chi ha camminato con noi, chi non ha ancora potuto farlo, chi pensava che fosse ormai “finita”.
Come la scorsa settimana, invitiamo tutti a promuovere e organizzare nuove Local March for Gaza e momenti di restituzione nei paesi attraversati dai cammini. Non possiamo permettere che l’attenzione si spenga: se non camminiamo, i nostri passi rischiano di disperdersi come foglie d’autunno nel vento. Ogni marcia, ogni gesto, ogni incontro è un’occasione concreta per sensibilizzare sul dramma in corso, rafforzare i legami con sindaci, associazioni e cittadini, e raggiungere chi non ha ancora partecipato o non è stato informato.
Ogni passo è un atto di memoria, un gesto di solidarietà e un impegno concreto per la pace.
Noi camminiamo liberi, e non ci fermeremo finché tutti non potranno camminare in pace, nella propria terra e con un passaporto, senza barriere, occupazioni o sopraffazioni.
Solo i popoli salvano un altro popolo.
E noi siamo una forza tranquilla che continua a camminare, finché la libertà non sarà reale per tutti.
- Indicazioni per organizzare una Local March for Gaza : https://www.localmarchforgaza.it/vademecum-per-aderire/
- Per caricare una nuova Local March for Gaza sul calendario del sito invia un breve testo descrittivo, il programma con le tappe e un’immagine orizzontale a adesioni@localmarchforgaza.it

