Il quinto giorno, 14 luglio, è previsto che una delegazione della Local March for Gaza si rechi in Prefettura a Milano, per consegnare le firme raccolte durante il cammino. In queste settimane abbiamo provato a fissare un appuntamento tramite email, pec e chiamate, senza successo.
Partiamo separati, perché il gruppo a piedi è all’Ostello Olinda, al Parco del Paolo Pini, a Milano tra Affori e la Comasina. Si tratta di un luogo rigenerato, un ex manicomio restituito alla città, nello splendido parco dove ora ci sono orti, un teatro, una pizzeria e anche un ostello.
Il gruppo di ciclisti ha passato la notte a Mortara ospitato da Brigitte, e, nel frattempo, arriva anche Michele, il marito di Anna.
La mattina presto, alle 6:00 am, il gruppo dei ciclisti si incolonna verso Milano. Parte come sestetto che comprende due mortaresi, da Vigevano si aggiunge il settimo componente. Lo ha raccontato bene Adriano QUI.
In principio si percorrono strade pericolose, con molte auto che, essendo lunedì, puntano su Milano. Sono tante, imbottigliate e la stragrande maggioranza con una sola persona per veicolo.
A un certo punto iniziano le ciclabili, come quelle splendide che seguono il Naviglio Grande. Lasciato il Naviglio ci infiliamo nelle vie di Milano, incomprensibili per i non milanesi.
Il gruppo di camminatori invece prende il tram. Ci rechiamo all’appuntamento in Piazza Cavour, dove ci ricongiungeremo con i ciclisti e alcune famiglie che desiderano raggiungerci per firmare la petizione della nostra “local march” biellese. Difficile trovare un luogo da “presidiare” nella piazza, ci spostiamo nel parco. L’installazione di cavalieri in ferro battuto al centro del parco, in uno spazio non curato (l’erba è alta e secca), ci appare come una rivelazione: avvicinandoci scopriamo dalla targhetta che l’opera si chiama “I 4 Cavalieri dell’Apocalisse e il Bianco Cavallo della Pace”. Installiamo le bandiere Palestinesi sulle spade dei cavalieri e vestiamo il “bianco cavallo” con una kefiah. Ci fermiamo a contemplare “l’opera”, come fosse un segno divino. La giusta tappa finale della nostra processione laica? Anche i passanti notano, fermandosi a fotografare.
Poco dopo arrivano i ciclisti, ci ricongiungiamo.
Saluti e qualche aggiornamento reciproco. Senza appuntamento concordato ci muoviamo verso la Prefettura, a dieci minuti a piedi dai giardini di Porta Venezia. Prima di consegnare le firme, però, facciamo delle copie. Sono 509 in tutto, teniamo le originali. Nel frattempo si muove un certo numero di personale di polizia, attratti dalle bandiere palestinesi e dall’aggregazione delle persone in delegazione. Nazarena e Alessandra ottengono l’appuntamento con un funzionario della Prefettura. Entriamo in due, lasciamo documenti e bandiera in guardiola e veniamo gentilmente accompagnati nell’ufficio del Vice Prefetto aggiunto Dott. Giuseppe Nicolo`Paternoster.
Ci chiede delle specifiche sull’iniziativa, redige un verbale e, presa la copia delle 509 firme, ci assicura che saranno “consegnate ai piani alti”. Condivide lo scopo e le modalità dell’iniziativa.
Non crediamo che portare le firme all’attenzione delle autorità cambierà il loro agire, ma siamo profondamente convinti che questa iniziativa sia stata importante. Attraversando i paesi del cammino siamo stati accolti da tante persone che, pur non camminando, volevano “esserci” e lasciare la propria firma. Un modo per dire con urgenza “non in mio nome”, un appiglio per non sentirsi impotenti di fronte all’enormità delle responsabilità del nostro Paese in questo genocidio. Altre persone hanno chiesto di iniziare una raccolta firme nel loro paese, di organizzare un evento. La petizione è stata letta pubblicamente una ventina di volte, tutti e 509 i firmatari la conoscono. Vogliamo che il nostro Paese interrompa la vendita di armi e che consideri i paesi, invece che le armi. Vogliamo ritrovare umanità e fiducia nelle istituzioni, locali e internazionali.
Crediamo che i cittadini abbiano il diritto di esprimersi; subire, perlopiù in solitudine, il continuo flusso di notizie terribili senza organizzare una – o più di una – risposta sia tra le cose peggiori che ci possa succedere.
Attraversando i paesi abbiamo colto un forte bisogno di stare insieme e di dire che è inaccettabile quello che sta succedendo a Gaza. Il solo trovare una forma per esprimerlo è un primo passo per sollevarsi, per generare speranza.
Ettore e Nazarena